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obiettivi

Mobilità

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Mobilità

Sono molti i fattori di tipo anatomico e fisiologico connessi alla flessibilità di un individuo. Su alcuni di essi non è possibile intervenire o lo si può fare in modo poco significativo poiché sono legati a sesso, età e struttura articolare, ma altri sono invece controllabili ed è su questi ultimi che solitamente si lavora a livello di allungamento per il miglioramento della flessibilità e quindi della mobilità articolare.
Prima di tutto è utile definire cosa è la mobilità articolare. Si tratta delle capacità di compiere dei movimenti al massimo dell’escursione fisiologica e meccanica consentita alle articolazioni. In pratica maggiore è l’ampiezza del movimento che si riesce a raggiungere e maggiore è la propria mobilità articolare. Prendiamo ad esempio il toccarsi la punta dei piedi con le mani partendo dalla posizione eretta per poi flettere il busto, chi riesce a compiere questo movimento ha una maggiore mobilità rispetto a chi invece non ce la fa. Chiarito il concetto di cui stiamo parlando, diamo un’occhiata ai vari fattori legati alla flessibilità così, la prossima volta che non ti sarà possibile compiere un movimento in tutta la sua escursione, saprai non solo con chi prendertela ma anche come fare per risolvere, almeno in parte, la questione.
Nel corpo umano vi sono svariati tipi di articolazione, alcune delle quali hanno una maggior ampiezza di movimento, detta ROM dall’inglese Range of Motion, rispetto ad altre. Tra queste l’articolazione della spalla è quella con la maggior ampiezza di movimento possibile visto che può in effetti muoversi in tutti e tre i piani anatomici. Se confrontata con altre articolazione, ad esempio quella del polso che ha un ROM alquanto limitato è comprensibile come i vincoli meccanici di talune articolazione possano limitarne la mobilità.
La massima escursione articolare e di conseguenza la flessibilità diminuiscono inevitabilmente con l’età. Tra le cause vi sono la sostituzione di parte delle fibre muscolari con tessuto connettivo fibroso attraverso un processo conosciuto come fibrosi. Generalmente le femmine tendono ad essere più flessibili dei maschi ma la buona notizia è che alcuni studi dimostrano che la flessibilità può essere “allenata” anche in età avanzata, utilizzando programmi di allungamento specifici, con ottimi risultati.

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Anche il tessuto connettivo profondo, come ad esempio i tendini, possono limitare il Range of Motion in funzione della loro elasticità, cioè la capacità di ritornare alla lunghezza originale di riposo dopo un allungamento passivo e della loro plasticità, ovvero la tendenza ad assumere una lunghezza maggiore dopo un allungamento passivo. Sebbene i legamenti non sembrino avere proprietà elastiche intrinseche, è provato che se sottoposti ad esercizi di stretching possono con il tempo estendersi fino a raggiungere una nuova lunghezza e quindi migliorando la flessibilità. Tuttavia questo allungamento con maggior flessibilità non è sempre vantaggioso poiché tende a ridurre la stabilità dell’articolazione che, in certi sport, è invece molto importante.
L’ipertrofia del muscolo scheletrico, ovvero una sua dimensione molto grande causata da specifici allenamenti con i pesi, può anch’essa influenzare in modo negativo la flessibilità. E’ dunque importante che, ai fini del mantenimento della flessibilità, coloro che si allenano “pesante” per aumentare la propria massa muscolare, inseriscano nel loro programma di allenamento esercizi di allungamento mirati alla flessibilità.
Anche la capacità del sistema neuromuscolare di inibire i muscoli antagonisti rispetto a quelli che devono essere allungati influenza la flessibilità a livello dei recettori ed in questo caso vi sono due importanti tipi di recettori coinvolti nella relazione meccanica tra allungamento e flessibilità. Il primo è l’insieme dei fusi muscolari che collocati all’interno delle fibre muscolari monitorano i cambiamenti nella lunghezza del muscolo. Il riflesso di allungamento è la risposta involontaria ad uno stimolo esterno che allunga il muscolo e provoca un aumento riflessivo dell’ attività muscolare. I fusi muscolari attivano questa risposta. Durante l’allungamento è quindi meglio evitare questa attivazione dei fusi muscolari poiché limiterà movimento.
Gli altri importanti propriocettori sono gli organi del tendine del Golgi che si trovano in prossimità delle giunzioni muscolo-tendinee e sono sensibili all’aumento della tensione muscolare. Quando questi recettori sono stimolato provocano un riflesso di rilassamento nel muscolo che a sua volta si allunga; tale fenomeno viene chiamato “inibizione autogena”.
Un altro fattore che può condizionare la mobilità sono le condizioni ambientali. Basta pensare a come ci si sente la mattina appena fuori dal letto o con temperature basse. E quindi sempre importante affrontare una sessione di allungamento in modo graduale, riscaldando bene tutte la articolazioni prima di procedere ad allungamenti più profondi.
Lesioni ai muscoli o al tessuto connettivo possono poi causare un ispessimento della zona interessata con effetti sulla flessibilità. Il tessuto fibroso che si viene a creare è meno elastico e può portare addirittura all’ accorciamento di un arto con conseguente riduzione del ROM. I noduli fibrosi nel tessuto connettivo e muscolare sono spesso chiamati punti trigger ed una tecnica chiamata massaggio miofasciale può essere in grado di alleviare il dolore e la limitazione causata da punti trigger.
Per una maggior flessibilità è quindi importante non tralasciare mai degli esercizi di allungamento che, se opportunamente combinati e calibrati, possono assicurare una miglior mobilità articolare ed in ultima analisi ridurre la possibilità di dolori alle articolazioni. L’importante è che tali esercizi siano eseguiti secondo un programma specifico.

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